cucina come professione

Il proliferare della “chef mania” nei programmi televisivi, insieme alla diffusa e sana attenzione nei confronti di una ristorazione curata e consapevole (con la riscoperta dei prodotti tipici e delle ricette tradizionali), ha portato sempre più giovanissimi, e a volte meno giovani a sognare di indossare la “toque blanche”, chi immaginandosi una rock star del settore, chi invece, più realisticamente, pensandosi aiuto cuoco in un ristorante in cui imparare e crescere professionalmente.

E’ un esercito sempre più numeroso, quello degli aspiranti cuochi.

Secondo un’analisi della Coldiretti, basata sui numeri forniti dal Ministero dell’Istruzione, ogni anno oltre 50 mila ragazzi scelgono come scuola superiore un istituto professionale dedicato a enogastronomia e ospitalità alberghiera, che equivale a più di uno studente su 10.

Un settore su cui sembrerebbe quindi valga la pena di investire, secondo ben il 50% degli italiani che, sempre sulla base dei dati Coldiretti, ritiene che cuoco e agricoltore siano le professioni che offrano le maggiori possibilità di lavoro.

Ad alimentare la ventata di ottimismo è anche uno studio della US Bureau of Labour Statistics, fra le più accreditate agenzie mondiali specializzate in statistiche ed economia del lavoro, secondo cui nei prossimi anni il cuoco sarà il mestiere più richiesto in assoluto.

Un’altra forte motivazione che porta a prediligere un percorso di apprendimento nell’ambito della ristorazione è la convinzione che cucinare sia un mestiere “concreto”, dove conta più la pratica che la teoria.

La realtà però è diversa: per diventare un cuoco la strada è lunga e servono più nozioni di quanto si possa immaginare.

Si tratta di una professione che esige passione, impegno, conoscenze approfondite e abilità manuale: caratteristiche e competenze che, se coltivate e sviluppate, possono dare grandissime soddisfazioni sotto il profilo della creatività e dell’affermazione personale.

Il diploma alberghiero è il risultato di un percorso quinquennale ricco di operatività ma anche molto denso di apprendimento teorico. L’alternativa sono i numerosi corsi professionali accreditati, pubblici e privati, che consentono di avvicinarsi gradualmente ai fornelli. Poi ci sono le scuole specializzate, spesso dirette da cuochi famosi, che rilasciano attestati spendibili sul campo e che richiedono investimenti estremamente variabili.

Ogni percorso di formazione deve sempre prevedere l’apprendimento delle fondamentali tecniche di base di lavorazione degli alimenti, i sistemi di cottura tradizionali e moderni, l’estetica e i criteri di abbinamento per esaltare la creatività dei piatti, ma anche la padronanza di un lavoro organizzato, razionale ed efficiente, la conoscenza delle specifiche attrezzature e il loro criterio di utilizzo, e infine la comprensione ed interpretazione dei gusti del momento per la proposta di un’offerta gastronomica vincente.

E non da ultimo la valorizzazione della cucina italiana, senza dimenticare il confronto con le cucine del resto del mondo. Perché talento e capacità di sperimentare sono doti imprescindibili, che devono essere sempre alimentate con la curiosità, l’aggiornamento e magari con esperienze all’estero, per scoprire sapori nuovi e culture culinarie diverse.

Anche in quest’ottica vanno vissuti gli stage formativi, proposti dalle scuole o a prolungamento dei corsi: di durata variabile, si possono svolgere in ristoranti, hotel, navi da crociera…

Al di là delle prospettive allettanti deve essere chiaro che non tutti possono diventare cuochi. Oltre alla predisposizione servono pazienza, dedizione e spirito di sacrificio: se è vero infatti che i numeri delle iscrizioni all’Istituto alberghiero e ai vari corsi di cucina sono assai elevati, il tasso di abbandono lo è altrettanto. 

Anche una volta approdati nel ristorante che diventa “il posto di lavoro” bisogna sempre ricordare che si entra in cucina alle dieci del mattino e se ne esce all’una di notte, con tre ore di pausa. E i fine settimana li si passa tutti al ristorante

Un altro aspetto da considerare è che l’alta ristorazione, nonostante quanto si possa pensare è un settore non immune dalla crisi, che vede talvolta anche i locali più rinomati con bilanci in perdita. Si tratta spesso di un comparto chiuso e fortemente esclusivo, a cui è estremamente difficile accedere.

In prospettiva inoltre, per i prossimi anni, in molti mettono in guardia contro il rischio saturazione.

Per contrastare questo rischio il segreto è quello che vale per tutte le altre professioni: essere flessibili, restare aggiornati e sapersi sempre re-inventare.

La ristorazione “comune”, quella alla portata di tutti o di molti, è infatti un mercato estremamente eterogeneo, che offre un ampio ventaglio di possibilità.

Occorre essere pronti a ragionare in funzione delle stagionalità, a seguire i flussi turistici in funzione dei periodi dell’anno e dell’area geografica in cui si vive, e possibilmente essere disponibili a spostarsi proprio dove c’è maggior richiesta di professionisti della ristorazione.

Il sapersi re-inventare sta anche nell’umiltà di capire che spesso la risposta è nelle cose più semplici, ad esempio pensando alle tante persone che ogni giorno pranzano fuori casa. Con una maggiore attenzione in questa direzione e l’impiego nelle cucine di bar e tavole calde di cuochi appassionati e capaci, questi punti di ristoro potrebbero offrire cibo fast, ma di qualità migliore.

Tirando le somme: studio, impegno, pratica, curiosità, umiltà, flessibilità… gli ingredienti per fare un cuoco professionista sono questi.

E’ una ricetta composita che va preparata giorno per giorno, senza smettere mai.

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